Parolin: discepolo è chi ha il gusto del bene e custodisce la pace e la convivenza
Lorena Leonardi - Città del Vaticano
Come la luce, che non pone in rilievo sé stessa ma ciò che illumina, e come il sale, che dà sapore e conserva: così facendo, nella chiamata "a servire la bellezza e l’originalità della fede e delle più genuine espressioni culturali e sociali" potrà essere preservato "il gusto del bene".
Il cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin, ha preso spunto dal Discorso della montagna nell’omelia di stamane, 14 dicembre, durante la messa celebrata in San Pietro per l’ordinazione episcopale di monsignor Rubén Darío Ruiz Mainardi, arcivescovo titolare di Ursona e nunzio apostolico in Benin e in Togo.
Il motto episcopale
A te et per te — il motto scelto dal presule argentino finora capo ufficio del personale della sezione per gli Affari Generali della Segreteria di Stato, nominato rappresentante pontificio da Papa Francesco il 28 ottobre scorso — non menziona qualità e virtù, non contiene sostantivi e verbi ma, ha evidenziato il cardinale Parolin, in esso "risalta solo Lui, il Signore".
Il senso della quotidianità e del ministero
È questa la "certezza insopprimibile" della vita di chi crede: "In ogni chiamata, situazione, circostanza e persino solitudine siamo tenuti a cominciare da Lui e a convogliare in Lui ogni realtà che viviamo, persona che incontriamo, cosa che facciamo".
Ripercorrendo i riti della liturgia dell’ordinazione episcopale — consegna dell’anello, della mitra e del pastorale — preceduti dall’unzione con il crisma e dalla consegna del libro dei Vangeli, il porporato ha sottolineato che tutto riporta "da Lui e per Lui", dove la quotidianità e il ministero trovano senso.
Lo stemma episcopale
A proposito dello stemma episcopale — con il troncato superiore che raffigura un asinello — esso, ha proseguito rivolgendosi al neo-arcivescovo, "si addice alla instancabile costanza e determinazione nel lavoro», con una "solerzia" coniugata alla "riservatezza" e alla "volontà di essere restio nell’apparire". Ma rappresenta soprattutto, ha rimarcato, la percezione di monsignor Ruiz Mainardi di fronte alla chiamata a essere successore degli Apostoli: "Come un asinello che porta Lui, il Signore, rievocandone non la forza della regalità, ma la mitezza dell’ingresso a Gerusalemme, accanto a quella della Santa Madre di Dio, che secondo la tradizione su un asinello si recò incinta a Betlemme e fuggì in Egitto".
Di qui il richiamo alle immagini evangeliche del sale e della luce, che Gesù utilizza per predicare ai discepoli.
Sale che preserva il gusto del bene
Il sale, simbolo della "necessità che la vita cristiana abbia sapore", per compiere la sua azione si scioglie, e similmente accade per il servizio ministeriale, specie nelle rappresentanze pontificie. Il "gusto del Vangelo" si trasmette così "attraverso un servizio, per lo più silenzioso e nascosto, che non ricerca nient’altro se non il dono di sé per il bene di chi lo riceve". Inoltre, il sale richiama la "funzione di custodia" insita nel ruolo di nunzio apostolico che l’arcivescovo eserciterà in Benin e Togo come un "pregiato condimento" che aiuta a preservare "il gusto del bene". Compito, questo, "tanto più prezioso e difficile oggi, in un mondo dove è piuttosto facile e talvolta seducente scivolare nel funzionalismo, nella trascuratezza delle radici, nella giustificazione dei mezzi in nome di un fine".
Richiamando "la semplicità e la purezza dell’agire evangelico", il sale designa "lo stile del discepolo": quest’ultimo infatti crede che "il dono di sé stesso in ciò che è chiamato a fare» e l’impegno a "custodire l’unità, la pace e la convivenza lì dove si trova" non siano "solo un servizio richiesto", ma "la migliore testimonianza di Gesù".
Luce per illuminare il mondo
Anche la luce, ha continuato il cardinale Parolin, "tratteggia l’itinerario evocato dal sale: essa non serve a porre in rilievo sé stessa, ma ciò che illumina". Rievocando il brano evangelico odierno, ha osservato: "Gesù chiede che la nostra vita risplenda nel mondo, perché gli uomini colgano dai nostri atteggiamenti la luminosità della testimonianza piuttosto che l’ammaestramento dei concetti, ma alla fine sorprende, asserendo che gli uomini in tal modo riconosceranno e daranno gloria non a noi, che pure abbiamo compiuto le opere, ma al Padre, che nessuno vede".
In questo si racchiude un "segreto evangelico": "Il bene che compiamo nel suo nome e senza la ricerca del nostro interesse è efficace e porta di per sé gli uomini a glorificare Dio". Qui si manifesta "la misteriosa fecondità evangelica", quella per cui "il sangue dei martiri è seme di nuovi cristiani, la preghiera può riportare la pace, la vita credente conquista per attrazione": questo, ha concluso, "è il modo in cui la luce del Vangelo ama diffondersi, toccando i cuori anche se il mondo non ne parla".
Mente e cuore rivolti verso l'alto
A pochi giorni dalla "luce" del Natale che sta per risplendere, il cardinale segretario di Stato ha invitato a contemplare la magnificenza dell’Altare della Cattedra, da poco riportato all’originale splendore: "Le imprese umane, anche le più nobili rappresentate in un certo senso dalla cattedra di Pietro e dai quattro Padri della Chiesa che la indicano e la sorreggono, in un movimento di tipo ascendente, sarebbero poca cosa senza la luce dello Spirito che discende dall’alto, indorandola e rivestendola di luce".
Infine, l’augurio a monsignor Ruiz Mainardi, affinché "l’impegno ad elevare la mente e il cuore verso l’alto sia sempre animato da un genuino spirito di servizio".
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